L’esposizione costante e prolungata a rumori intensi è la seconda causa di sordità al mondo, preceduta soltanto dall’usura dell’apparato uditivo dovuta all’invecchiamento (presbiacusia): in questi casi si parla di ipoacusia da rumore, una condizione spesso irreversibile (di matrice neurosensoriale o trasmissiva) che incide sensibilmente sulla qualità di vita.
La sordità da lavoro è anche una delle malattie professionali più diffuse al mondo. Non a caso, le istituzioni sanitarie sottolineano a più riprese l’importanza di proteggere adeguatamente le orecchie in determinati contesti lavorativi (uso tappi antirumore) per evitare danni permanenti all’udito.
In linea generale, le persone alle prese con problemi di udito causati da sovraesposizione ai “rumori lavorativi” riscontrano numerose difficoltà uditive nelle situazioni d’ascolto di tutti i giorni. È il caso, per esempio, delle conversazioni all’aperto o al telefono, in cui la voce dell’interlocutore appare spesso distorta, ovattata, così come quando si vede la tv, il cui volume non sembra mai troppo alto.
L’udito di chi lavora in ambienti lavorativi rumorosi risulta più a rischio sordità: ciò emerge soprattutto da quanto si registra nei Paesi in via di sviluppo, luoghi in cui le strategie di prevenzione uditiva non sono ancora implementate come dalle nostre parti.
A questo proposito, è stato condotto uno studio pubblicato sull’American Speech-Language-Hearing Association Journal per analizzare scientificamente come il rumore possa influenzare le soglie di percezione del parlato nel rumore, la capacità uditiva auto-riferita, la presenza di acufene e l’eventuale presenza e gravità dell’iperacusia (eccessiva sensibilità ai suoni) in un campione di lavoratori palestinesi.
Lo studio
Un team di ricercatori provenienti dall’Università di Manchester, in Gran Bretagna, ha raccolto i dati di 251 lavoratori palestinesi senza diagnosi di ipoacusia o disturbi della memoria.
I volontari hanno risposto ad un questionario sull’esposizione al rumore e sull’iperacusia, oltre ad aver effettuato Digit Span (test per la misurazione della memoria) e altri esami di misurazione dell’udito e dell’acufene.
I risultati dello studio suggeriscono che l’esposizione professionale al rumore e l’età possono essere associate ad una percezione del parlato nel rumore significativamente inferiore e a capacità uditive altrettanto inferiori.
Invece, l’esposizione professionale al rumore, ma non l’età, ha anche predetto una maggiore prevalenza di acufene, una gravità più accentuata del tinnito stesso e una più elevata percezione di iperacusia.
“Sono necessarie ulteriori ricerche di laboratorio per verificare i risultati del presente studio e per fornire altre prove dell’impatto del rumore professionale sui lavoratori. Questi sforzi di ricerca possono aiutare a incoraggiare le autorità locali ad attuare norme sulla salute e la sicurezza relative all’udito nei paesi in via di sviluppo come la Palestina”, concludono gli autori.
Al netto di questi esiti, chi svolge o ha svolto in passato dei lavori caratterizzati da frastuono ambientale o dall’esposizione a rumori superiori ad 85 decibel, dovrebbe prestare una particolare attenzione alla salute del proprio udito effettuando regolarmente (almeno una volta l’anno) un esame audiometrico.
Questo esame permette allo specialista di restituire una panoramica dettagliata sulla funzione uditiva, in modo da individuare eventuali criticità ed intervenire in maniera tempestiva, prima che la sordità possa aggravarsi alterando salute fisica (rischio declino cognitivo) e benessere mentale.
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